Lo stile letterario, ovvero, come raccontare una storia. L’impronta dello scrittore: il lessico e la sintassi.
Tratto da Zazie nel metrò, di Raymond Queneau (Einaudi, 1960 e 1994). Biografia dell’autore
“Machiffastapuzza, si chiese Gabriel, arcistufo. Impossibile, mai che si puliscano. Sul giornale c’è scritto che a Parigi non c’è nemmeno l’undici per cento di appartamenti col bagno, non c’è da meravigliarsi, ma ci si può lavare anche senza. Tutti questi che mi stan d’attorno, però, devo dire che mica fanno di gran sforzi. D’altra parte, perché dovrebb’essere una selezione fra i più lerci di Parigi? Non c’è motivo. È il caso. È assurdo supporre che la gente che sta aspettando alla Gare d’Austerlitz puzzi più di quella che aspetta alla Gare de Lyon. No, via, non ci sarebbe proprio motivo. Però, dico: ma che odore.
Gabriel cavò dalla manica un fazzolettino di seta color malva e ci si tappò le froge.”
L’incipit
Apre su un pensiero del personaggio di Gabriel, lo “zio” di Zazie. Siamo a Parigi e Gabriel attende la ragazzina sulla banchina alla stazione. In quella situazione di attesa il suo pensiero va al cattivo odore che emana la gente intorno a lui. Il narratore torna in terza persona e descrive il gesto del personaggio che cava di tasca un fazzoletto di seta color malva per turarsi il naso.
La prima parola è una contrazione di sei sillabe, una stortura, se vogliamo, ma che caratterizza il personaggio e dichiara, da subito, il tono umoristico della storia. Il pensiero prosegue su questo tono seguendo una logica speculativa che torna infine sul concetto di base: la gente puzza, urta la mia sensibilità e io mi tappo il naso con un fazzoletto. Un fazzoletto, l’autore lo precisa, di seta color malva, non proprio maschile, se vogliamo.
Seguono, in uno schema che si ripete praticamente per tutto il romanzo, dialoghi serrati alternati da brevi righe descrittive.
“– Ripeti un po’, dai – dice Gabriel.
Un po’ stupito che il forzuto replicasse, il tipetto ci mise un po’ prima di combinare la risposta seguente:
– Ohè, ma che ho da ripetere?
Mica scontento della sua formula, il tipetto.
Però quell’armadio a specchiera insisteva; e si curvò per proferire questo pentasillabo monofase:
– Quelkaidettòra…”
La narrazione è al passato remoto ma Queneau ci infila spesso il presente, forse per sostenere la formula del linguaggio parlato della gente di strada.
“Gabriel alza le spalle. Non dice nulla. Piglia la valigia di Zazie.
E ora dice qualcosa.
– Andiamo, – dice.
E giù proiettando a destra e a sinistra tutto quel che capita sulla sua traiettoria. Zazie gli galoppa dietro.
– Zio, – strilla, – si piglia il metrò?
– No.
– Come no?
Si è fermata. Anche Gabriel frena, si volta, posa la valigia e fa la spiega:
– Già, sì: no. Oggi, nix. Sciopero.
– Sciopero?
– Già, sì; sciopero. Il metrò, questo mezzo di trasporto eminentemente parigino, s’è addormentato sotto terra, perché gli addetti alle pinze perforanti hanno interrotto qualsiasi lavoro.
– Ah, porci, – esclama Zazie – ah, cialtroni. Farmi una roba così!”
Qui la scena è tutta al presente, il lettore viene trascinato indietro nel tempo. Le azioni non sono già compiute, si svolgono proprio mentre legge. Il ritmo incalza, in modo molto dinamico.
Incredibile pensare che Queneau (1903 – 1976) abbia scritto questo romanzo nel 1959. Viene da pensare che fosse avanti di almeno mezzo secolo.
La trama
Tratta dalla sinossi: “Zazie, una ragazzina molto sveglia e indipendente, è stata affidata dalla madre, troppo occupata col suo amante, a Gabriel, detto zio Gabriel, un ballerino travestito. Approda così a Parigi dove non riuscirà ad andare sul metrò, come era suo desiderio, e comincerà a girare per la città, passando da un incontro all’altro con disinvolta sicurezza e una strana voglia di vedere e di capire il mondo a modo suo.”
Semplicemente un capolavoro. Una lettura fondamentale per chi ama la scrittura.
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